“Maremma sdraiata!” “Mahe” “no,no” “RE RE Maremma” “Mare ma” … ci provo e ci riprovo, ma insegnare ad una bimba africana sorda a dire “maremma sdraiata” è impresa a dir poco ardua, ma per ingannare il tempo del viaggio di ritorno proviamo pure questo. Sono le parole d’esclamazione che diceva sempre mio nonno e mi nascono spontanee quando incontro una persona sensibile e bella come lo era lui!
La ragazza in questione si chiama Ramatoullay e ha una dolcezza infinita, sebbene nei suoi tredici anni di vita sia stata provata tante e troppe volte da situazioni dolorose. Infatti Ramatoullay è nata con i piedi torti e quindi non riusciva a camminare bene. Grazie al lavoro del centro di fisioterapia delle suore figlie del Sacro cuore e all’intervento di un ortopedico francese che veniva ad operare all’ospedale d’Agnibilekrou, è riuscita a recuperare bene e ad apprendere a camminare, svolgendo una vita normale: giocando, andando a scuola e imparando il francese. Durante la sua infanzia ha perso la mamma, ma nel cortile della sua casa non le è mai mancato l’affetto delle altre mogli del padre mussulmano, delle nonne e di una famiglia allargata. A nove anni viene presa da una forte febbre, ma non essendoci i mezzi per curarla, si prende alla leggera la malattia e la bimba entra in coma: si tratta di meningite. Miracolosamente si risveglia, ma ha perso completamente l’udito, così smette di frequentare la scuola dove nessun ausilio è previsto per lei ed in una classe di quaranta bambini il maestro non può certo concedersi il tempo per seguirla.
La conosciamo prendendo contatto con le famiglie dei disabili della parrocchia e scopriamo presto che, nonostante una vita tanto ferita, non ha perso il suo splendido sorriso e la voglia di vivere. Così Walter ne valorizza la vivida intelligenza facendola leggere e scrivere, la facciamo partecipare alla settimana dei bambini dove si diverte un mondo e, ad ottobre, ricomincia a frequentare la scuola del cortile della parrocchia sotto l’occhio vigile di Walter… Ammetto di avere un debole per lei, ma credo che sia reciproco, perché quando mi vede scoppia a ridere, forse perché so che non posso inondarla di parole e di canzoni stonate come faccio di solito con gli altri bambini, ed allora comincio a fare le cose più buffe e lei si prende gioco di questo omone che fa il bambino: maremma sdraiata!
Il viaggio che intraprendiamo è per lei, vogliamo andare ad Abidjan per fare una visita dall’otorino e comprendere che speranze possano esserci di recuperare, almeno in parte, l’udito. Alla televisione abbiamo sentito parlare di operazioni all’avanguardia fatte all’ospedale “Mère-enfant” e proprio là ci dirigiamo: io e Walter, accompagnati dal nostro autista di fiducia Koffi, Ramatoullay e la sua mamma che porta a tradimento pure la sorella più piccola Muniratou, una teppista che ci fa impazzire per tutto il viaggio.
Entrando in ospedale sembra di essere in Europa: porte scorrevoli, hall d’ingresso ricoperta di marmo, aria condizionata, vetrate luminose. Dopo il pagamento della prestazione veniamo ricevuti dalla dottoressa che ci liquida in pochi minuti dicendo che dobbiamo fare l’esame audiometrico. Le faccio presente che noi veniamo da molto lontano e la imploro di poter fare l’esame il giorno stesso per risparmiarci un altro viaggio lungo, faticoso e costoso. Lei accetta di vederci alla fine della mattinata per l’esame, ma sono solo le nove. Finalmente verso l’una l’assistente fa entrare Ramatoullay a fare l’esame audiometrico, ma dopo un po’ di tempo esce dicendo che la bimba non risponde agli stimoli e che bisogna attendere il medico che “sarà libero tra trenta minuti”. Dopo un paio (finalmente!) d’ore la dottoressa arriva a farle l’ esame e questa volta entro anche io e capisco perché Ramtoullay non risponda correttamente: visto che in ospedale si rispettano le misure anti covid, le parlano con la mascherina, ma lei capisce quello che le viene detto solo quando legge il labiale! Quando finalmente mi tolgo la mascherina e le spiego, l’esame può avere luogo. E mentre sono in questa sala audiometrica penso a tutte le ore trascorse in ospedale (sono quasi otto), alla fatica del viaggio, alle prove che Ramatoullay ha dovuto vivere nella vita e al suo desiderio di vivere sempre e comunque… e semplicemente prego, e vorrei tanto che Gesù facesse il miracolo di darle di nuovo l’udito e che facesse un po’ di giustizia e che le desse una vita un po’ più normale.
Ma ecco che la dottoressa esce dalla camera insonorizzata e parla di sordità profonda: l’unica soluzione è un’operazione chirurgica impegnativa e costosissima, con successiva rieducazione logopedica intensiva. Avrei tanto voluto che bastasse un tocco, una parola e come nei migliori miracoli della Bibbia lei potesse tornare a sentire.
Con questi pensieri per la testa la prendo per mano, senza il coraggio di guardarla negli occhi e la porto verso il resto della comitiva che ci attende fuori dall’ospedale. E mentre stiamo uscendo lei finalmente mi guarda e mi chiede se ci potrà sentire e io no so cosa dirle se non che è un primo passo e poi vedremo… ed allora mi sorride e mi abbraccia. E vorrei solo piangere perché capisco che l’unico sordo sono io, con la mia pretesa di essere sempre all’altezza, e l’ansia di fare io dei miracoli ed essere salvatore e nessuna disponibilità a lasciarmi salvare. E rischi di essere sordo a una parola d’affetto che non ha bisogno di successi per venir pronunciata, sordo di fronte ad una bambina che ti sorride anche se ancora non ci sente, e forse non sentirà mai, ma che è grata per quello che hai fatto, che è grata per la passione che ci hai messo. E allora anche l’operazione passa in secondo piano e non so ancora se si potrà fare, ma io che volevo farmi grande di una guarigione… mi scopro guarito da un sorriso. E allora anche io torno bambino nella campagna maremmana, quando bastava sentire la voce piena d’affetto di mio nonno per farmi sapere che ero al sicuro e suscitarmi lo stesso sorriso : “maremma sdraiata”!
Ecco il viaggio della speranza Attese immense e si fa qualche selfie Nella hall d’attesa dell’ospedale con la mamma, Ramatoullay e Muniratou la teppista Il primo giorno di scuola di Ramatoullay dopo quattro anni