Pierpaolo da alcuni anni coordina i maestri di una scuola “passerella” che si svolge nelle aule della parrocchia. Si tratta di un progetto delle suore poverelle rivolto ai bambini che hanno perso anni di scuola e si trovano impossibilitati a frequentare la scuola pubblica (troppo costosa). Il rischio e che possano trovarsi in classi di bambini piccoli, senza alcuna formazione ed alfabetizzazione. Questa scuola aiuta questi bambini a non perdere il passo e ritrovarsi nei gradi più avanzati della scuola con i propri coetanei e con un’adeguata preparazione. Pierpaolo ormai da qualche anno passa le sue mattinate in questa scuola, e nel pomeriggio organizza attività di recupero in piccoli gruppetti. Oggi mi propone di seguirlo, girando per le strade di Agnibilekrou, nella visita che annualmente fa alle famiglie degli alunni per capirne meglio la situazione. Accetto di buon grado per capire meglio quale possa essere la condizione in cui vivono i miei parrocchiani. Con noi pure Stefan, giovane maestro che collabora con Pierpaolo, e Amaras, che ribattezzo “la guida” e “il geografo”, è un alunno della scuola che conosce gli indirizzi di tutti i suoi compagni, impresa non da poco nel groviglio di strade sterrate e cortili nascosti della città. Ma forse Amaras più che geografo da scrivania da “piccolo principe” è più che altro un esploratore, bambino di 8 anni affidato alla nonna perché “più vicina alla scuola” o forse semplicemente perché la mamma ha un nuovo marito e il padre è scomparso una volta saputo della sua nascita. La nonna lascia Amaras perennemente libero di vagare per le strade in cerca dei propri amici. È lui che ci guida con la nostra Isuzu 4×4 nei bassifondi più abbandonati di Agnibilekrou. L’esperienza di oggi mi lascia il contatto con una realtà sicuramente viva, ma altrettanto complicata. Per le strade sterrate ed abbandonate di Agnibilekrou, scopro un surplus di vita, ad ogni incrocio, ad ogni corte, ad ogni angolo di strada un drappello di bambini ti scruta, ti guarda e ti sorride. I bambini in Africa sono ovunque e con spontaneità giocano ovunque e con qualsiasi cosa. Si ritrovano a correre scalzi in mezzo ai liquami di una discarica a cielo aperto, li sorprendi a mettere due porticine posticce in mezzo alla strada e a giocare con una palla bucata, li vedi farsi la doccia nudi per la strada con un secchio d’acqua e del sapone, li sorprendi a giocare con le bucce di limone o a rotolarsi in mezzo alla sabbia, ad arrampicarsi senza scarpe su muri scalcinati e pericolanti. Su di loro l’occhio di tutti gli abitanti della città, ma nessun occhio apprensivo, a volte, sembrano semplicemente abbandonati, chi sono le loro famiglie? Tutti e nessuno! In fondo non entriamo in nessuna casa, qualche cortile scalcinato, qualche albero che dona ombra alla famiglia, ma in casa non si vive, si dorme! E ci accoglie un gruppi di persone: non sempre si tratta dei genitori, a volte si tratta di nonni giovanissimi, altre volte la zia, altre volte qualcuno di imprecisato, ad ogni incontro mi alzo incerto sulla struttura famigliare, su chi è, per chi. Loro, i bambini, non ne sembrano troppo angosciati, vanno avanti a giocare, sporcarsi, sorridere e fare chiasso. Nella mia indole sorrido, faccio qualche espressione buffa, porgo la mano…e ci vuole poco a conquistarli, in pochi minuti mi ritrovo a dare il cinque e il pugnetto a tutti i bambini della strada. Risalgo sull’Isuzu e ascolto l’autoradio: “eppure sentire nei fiori tra l’asfalto, nei cieli di cobalto c’è: un senso di te”. Piccoli fiori che sbocciano in mezzo alla polvere e raccontano di un senso che è oltre, che va oltre! Perché, in questo tempo di avvento, stiamo semplicemente aspettando…un bambino.




