Ed arriva il giorno del mio compleanno, quello in cui di solito ti sorprendi a fare bilanci sul come, sul quando e il perché; quando poi concludi il lustro… la tentazione di bilanci è ancora più forte. Arrivo da una settimana passata a letto per il mio grande battesimo africano: la malaria. A questa parola ogni italiano trema di paura. Anche io ho cominciato a tremare, ma di freddo per la febbre alta, ma subito sono intervenute le suore che hanno cominciato a riempirmi il culetto di iniezioni e dopo qualche giorno di febbrone, tanti dolori ed un po’ di sogni strani mi ritrovo guarito alla svelta come per un’ordinaria influenza. In fondo che maremmano sei se non hai mai avuto la malaria?
La giornata comincia ringraziando nel giorno delle Madonna del Carmelo. La tradizione vuole che la mia devota nonna Lina salì alla Chiesa del Carmine in Città Alta per affidarmi alla Vergine, me lo ripeteva sempre con la sua voce dolce. L’anno scorso divenne per questo motivo meta di un pellegrinaggio particolare, da Concesa a Bergamo a piedi.
Poi la giornata entra nel vortice delle cose, e mi ritrovo a fare una catechesi a delle ragazze che stanno vivendo un ritiro dalle suore figlie del Sacro Cuore. Mi metto a parlare di Lorenzo Lotto, dell’oratorio Suardi di Trescore e di Cristo che è vite e rimango sorpreso che le ragazze rimangano colpite ed incuriosite da questo pittore e da quest’opera tanto distante nel tempo e nello spazio: davvero il genio riesce a cogliere qualcosa di universale nel piccolo particolare della sua opera. Mentre sto per tornare a casa scopro che la suor Michela sta preparando delle tagliatelle e… mi invito a pranzo! A casa in questi giorni sono rimasto l’unico italiano, don Gianni e Roberto sono partiti per l’Italia mentre don Massimo sta per rientrare. Insomma bene condividere il compleanno con qualcuno e con qualche piatto che sappia di casa.
Dalle suore c’è Irene, la missionaria laica di Bergamo che con me ha condiviso la formazione, e poi ci sono pure Mara ed Andrea, due giovani professori di educazione fisica che stanno vivendo la loro esperienza missionaria ospiti dalle suore aiutandole nel loro centro di fisioterapia. Al centro di fisioterapia li ho incrociati per la prima volta cercando di tradurre gli esercizi e le raccomandazioni ai pazienti, insomma dopo qualche mese sono già traduttore ufficiale di francese! Chissà cosa hanno capito i poveri pazienti!
Nel pomeriggio, sempre con Mara ed Andrea, mi reco con il mio barattolo di nutella all’orfanotrofio. Il pesante cancello di ferro si apre e si spalanca il piccolo cortile sempre pronto a riempirsi di gioia e leggerezza, una corda, dei pastelli, le bolle di sapone e subito Mara ed Andrea entrano nella grande famiglia dell’orfanotrofio, con la “bischera” Divine tutto pepe, Checo il “coccolino nero” e il piccolo Sami “botticino”. Qui ci si sente sempre a casa nel loro bisogno di attenzione, di gioco, nel loro estremo bisogno di essere amati. Un bisogno che tutti abbiamo e di cui a volte ci vergogniamo terribilmente. Ma come sarebbe bello se, come i bambini dell’orfanotrofio, anche noi imparassimo a lasciare alle spalle corazze e pregiudizi e facce incattivite dalla paura e ci abbandonassimo con fiducia all’altro. Allora basterebbe davvero una bolla di sapone da far scoppiare prima che cada a terra per riempire di gioia una giornata, una settimana, un mese… e fors’anche trentacinque anni.
Bolleeeee Andrea, Divine e le bolle Mara e “Botticino” Le tagliatelle La grande famiglia… “Non lasciare cadere a terra le bolle”
Affidarsi a Qualcuno è anche di conforto.
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