Non mi era mai capitato di celebrare un funerale di qualcuno che fosse più giovane di me. A Boltiere avevo conosciuto ed assistito bambini, adolescenti e giovani anche gravemente malati, ma, grazie al cielo, tutti sono guariti. Mi è capitato in questi giorni, in questa terra così giovane, così particolare e così ricca di contraddizioni.
Kongodia è uno dei villaggi che ho cominciato a visitare regolarmente da ottobre, da quando don Gianni, rientrato dall’Italia, ci ha chiesto di seguire tutti i villaggi che ancora erano affidati a lui. Di questo villaggio mi aveva sempre colpito una bella vitalità dei giovani che partecipano numerosi e entusiasti alle iniziative della parrocchia. Non immaginavo che proprio in questo villaggio avrei dovuto celebrare per la prima volta il funerale di qualcuno più giovane di me. E non si tratta di uno, bensì di due giovani tragicamente scomparsi.
Roxane, diciottenne figlia di un catechista, aveva passato il fine settimana come d’abitudine a Kongodia, ma la domenica sera doveva rientrare in città, ad Agnibilekrou per essere a scuola l’indomani e Barthelemy, il suo ragazzo, si era offerto di portarla in città in moto, ormai era buio. Kongodia non è lontano dalla città e superato un tratto di pista si entra nella strada principale asfaltata. Ma ecco che proprio all’ingresso della città, dopo una salita che ne impediva la chiara visione, un grosso camion che trasportava tronchi d’albero si era fermato per un guasto meccanico. Ormai era sera ed un bulldozer era stato chiamato per trascinare il camion nella vicina città, ma la strada era praticamente tutta occupata dai due grossi mezzi che lavoravano al buio. Un operaio era pure stato messo a qualche metro di distanza per segnalare il pericolo, ma vedendo quest’uomo sbracciarsi Barthelemy aveva pensato di trovarsi di fronte ad uno di quei banditi che durante la notte cercano di derubare chi passa per la strada ed aveva accelerato. L’impatto è stato terribile e non ha lasciato scampo ai due ragazzi.
La notizia drammatica mi giunge l’indomani con tutte le complicanze del caso, infatti nessuno dei due giovani era battezzato, ma erano di famiglia cattolica e frequentavano la Chiesa. Roxane aveva cominciato la catechesi e, in quanto catecumena, aveva diritto al funerale cristiano. Con don Gianni si decide di fare un funerale con la sola liturgia della parola con i corpi di entrambi il mercoledì. I corpi arrivano a Kongodia scortati da decine di moto di giovani che accompagnano i feretri con urla di disperazioni, clacson et sgommate di ruote. La maggior parte dei giovani rimane fuori dalla Chiesa mentre all’interno si celebra la preghiera.
Alla fine della celebrazione accompagniamo i morti al cimitero… i ragazzi entrano nella Chiesa esagitati ed esaltati prendendo sulle spalle le due bare. Hanno tutti partecipato alla veglia funebre il giorno prima. La veglia comincia con un momento di preghiera, ma prosegue poi per tutta la notte con danze, musiche e accompagnamento di alcol ed altre sostanze. Tutto questo non contribuisce a rendere i giovani più lucidi. Ad un certo punto le bare deviano dal percorso per andare al cimitero. Il capo del comitato della Chiesa mi dice che stanno andando dove il giovane aveva il suo atelier meccanico per rendergli omaggio. Nel pomeriggio chiedo lumi a qualche giovane di Agnibilekrou e mi viene spiegato che di fronte ad una morte di un giovane si cerca sempre chi sia la causa.
La causa che ho ricostruito prima è per me, europeo occidentale, la più evidente: un tragico incidente causato da molte imprudenze dei giovani, ma soprattutto da chi ha lasciato veicoli tanto pericolosi in mezzo alla carreggiata con il buio. Ma per un africano, anche per un giovane, questa non è mai la vera causa: dietro si nasconde qualcosa di misterioso, di mistico direbbero loro: due giovani morti così non sono per caso, ma è la stregoneria di qualcuno che ha causato questo decesso. La corsa folle dei giovani per il villaggio, altro non è che una caccia alla strega: i corpi dei giovani defunti guideranno alla casa del colpevole.
Io con le persone adulte mi reco al cimitero attendendo che le bare arrivino. Dopo un po’ di tempo e l’intervento di alcuni adulti, finalmente i giovani si avvicinano: grida esaltate, moto che sfrecciano e sgasano ovunque, fischietti che suonano accompagnano questa processione particolare che mi ricorda più la notte del 9 luglio del 2006, quando la nazionale di calcio italiana vinse il mondiale, piuttosto che un corteo funebre.
Arrivati alla tomba i giovani urlano in coro: “Vecchi andatevene” e colgo in quel grido tutta la sofferenza e la frustrazione per una situazione misteriosa e tragica, tutta la frustrazione di una società che tratta i giovani con facile paternalismo. In questo momento di tensione mi faccio avanti senza scompormi, anche se, effettivamente, non so come potranno reagire questi giovani esaltati: “comprendo il vostro dolore giovani di Kongodia, grazie per aver portato i vostri amici alla tomba, ve ne siamo grati, ora lasciamo il tempo per il silenzio e la preghiera”. E miracolosamente i giovani si tranquillizzano, e, seppure con qualche vociare più lontano, celebriamo i riti di benedizione della tomba. Perché questi giovani più che qualcuno che gli sgridi hanno bisogno di qualcuno che li ascolti… e forse non è vano cercare d’illuminare momenti tanto duri ed incomprensibili con l’unica Parola, che mai illude, ma che sempre consola.