La prima volta che vidi don Elvio lo paragonai subito ad un elefante. Era il gennaio 2018 e vivevo il mio primo viaggio missionario in Africa con il nuovo anno pastorale sarei venuto ad abitare ad Agnibilekrou. Don Elvio non era nella grande città, ma in un villaggio sperduto, N’Dakro: qualche casa in mezzo alla savana polverosa, dove si stava impegnando a costruire la canonica e a sistemare la Chiesa. Tutto il villaggio si era radunato per accogliere gli ospiti bergamaschi non mancava la banda, il comitato della Chiesa, i capi del villaggio, tutti guidati da questo omone imponente che ci presentò la sua realtà con il suo tipico entusiasmo da bambino.
Don Elvio era un vero elefante: alto circa due metri e di una stazza imponente faceva della sua fisicità una caratteristica importante. La sua andatura era flemmatica e ciondolante come quella dall’elefante, e la sua presenza incuteva rispetto, ma al tempo stesso allegria per il sorriso che non mancava mai sul suo volto.
Don Elvio era un vero elefante: la sua voce era forte e squillante come un barrito e da lontano l’avresti riconosciuta tra mille. Il suo francese, sebbene formato da molti anni di vita in paese francofoni, conservava uno spiccato accento italiano-bergamasco che lo rendeva inconfondibile. Dagli ivoriani aveva preso il vizio di prolungare le finali delle parole all’infinito, proprio come un barrito, né usciva un mix abbastanza esilarante. Anche il suo italiano aveva ormai qualcosa di inconfondibile e quando il telefono squillava bastava un semplice saluto per riconoscerlo: “Ciaoooo! Come stateee?”. E tanto quanto questo modo di fare ci riempiva d’ilarità, tanto quanto ci mancheranno incredibilmente queste sue parole e attenzioni.
Don Elvio era un vero elefante che entrava con disinvoltura in ogni cristalleria! La sua parola, il suo modo di fare, non cercavano mediazioni, il suo linguaggio era diretto nel dire quello che pensava senza grandi fronzoli. Un uomo sincero semplice e generoso che ha sempre cercato la verità. Come un elefante in una cristalleria qualche coccio lo lasciava sempre rotto, ma restava soprattutto nella memoria il passaggio di qualcuno che aveva lasciato il segno. L’ultima riunione del clero, essendo economo, aveva denunciato senza giri di parole l’ipocrisia della gestione del denaro della Chiesa ivoriana, l’ultimo pasto condiviso con i notabili del suo villaggio aveva attaccato duramente chi fa della carità pelosa per mostrarsi piuttosto che per fare il bene della comunità. Perché un elefante cerca la verità.
In fondo non aveva più niente da perdere e questa franchezza era sempre più limpida. Aveva già deciso la data del rientro. Il 18 giugno 2021 sarebbe rientrato in Italia con il biglietto di solo andata stavolta. Dopo 33 anni in terra africana aveva realizzato che il suo compito era finito e voleva servire per qualche anno la sua Chiesa di Bergamo che per tanti anni lo aveva sostenuto con mezzi e aiuti di ogni tipo nelle sue avventure missionarie. Ed era veramente entusiasta come un bambino. Le tante comunità che aveva attraversato negli anni stavano organizzando degli appuntamenti per salutarlo e lui, da buon elefante, non disdegnava ritrovarsi al centro dell’attenzione e festeggiare con i vecchi amici, e che dire, se l’era proprio meritato. Attendeva con ansia e curiosità la chiamata del vicario generale di Bergamo che gli avrebbe indicato la nuova destinazione.
Purtroppo queste prospettive si sono scontrato con una realtà diversa: a Pasqua don Elvio accusa un malessere e pensa alla solita malaria, ma, nonostante le cure, la malattia non passa. Solo dopo una settimana si reca ad Abidjan visto il deteriorarsi della situazione e gli viene diagnosticato un probabile Covid. Quando ce lo comunica rimaniamo basiti perché pensavamo, qui in Africa, di essere risparmiati dalla pandemia. Invece in poche ore la situazione precipita e la mattina del 12 aprile arriva la notizia che mai avremmo voluto ascoltare: Don Elvio è morto, esattamente un anno dopo il suo confratello don Francesco, anche lui morto in Africa, nella stessa clinica di Abidjan.
Don Elvio era un vero elefante. L’elefante è il simbolo della Costa d’Avorio e credo che si possa dire che quest’uomo nato sulle sponde del serio avesse veramente colto lo spirito africano, condividendo veramente le gioie e le sofferenze degli uomini di questa terra. In Costa d’Avorio si muoveva con quella dimestichezza e quella naturalezza dell’elefante, aveva vissuto quindici anni ad Agnibilekrou, ma poi era stato parroco in molte altre parrocchie a volte pure in piccoli villaggi: ormai era un vero ivoriano. Tutto il clero di Abengourou lo stimava molto anche per l’incarico che ebbe di guidare i seminaristi diocesani nel loro percorso formativo e tutti quelli che lo hanno avuto come direttore lo ricordano con grande stima e per tutta la giornata molti uomini e donne sono venuti a salutarci e portarci il loro cordoglio. Ma, forse, anche la Costa d’Avorio non è più terra di elefanti: è triste, ma i pochi pachidermi sono allo zoo, o nelle riserve naturali, non c’è più spazio perché possano crescere liberi ed indisturbati. Ora la Costa d’Avorio ha un elefante in meno, penso che a molti mancherà la sua ingombrante presenza. Di sicuro in Paradiso non mancherà lo spazio per questo elefante, che con tutto sé stesso ha servito con fedeltà e tenacia il suo Signore. Addio caro Elvio, proteggici da lassù e grazie per la tua testimonianza di vita missionaria!
Il ricordo commosso di tanti preti ivoriani: qui don Elvio festeggia la cresima del futuro père Ange Aimé Qui accompagna all’ordinazione Père Roland Concidenze… o coccinelle Père Elvio con un altro prete originario di Agnibilekrou La festa del lunedì di Pasqua Il battesimo in una comunità Don Elvio amava le feste ed i momenti condivisi Il suo immancabile sorriso Un momento di raccoglimento e commozione durante la Messa La formazione crisitana ed umana delle persone una sua priorità