Il pallone rosso è più grande di lui, l’andatura è ancora molto insicura, ma attraversa il cortile della Chiesa senza mai lasciare il glorioso premio. Si tratta di Christ, nato con le gambe torte in un piccolo villaggio di nome Tankouakankro che visito ogni mese per celebrarvi messa. Sua mamma Carola è la direttrice della corale e mi ha più volte chiesto di aiutarla per operare la gamba di suo figlio. Fino a due anni fa un ortopedico francese visitava regolarmente il centro di fisioterapia di Agnibilekrou, gestito dalle suore figlie del Sacro Cuore, e organizzava una campagna di interventi presso l’ospedale generale della città. Purtroppo l’ortopedico, ormai anziano, non se la sente più di operare e il coronavirus ha ulteriormente complicato il progetto di poter rimpiazzare questo medico. Per questo motivo non sono molto convinto quando organizzo una visita con il dottor Alabo. “Si può operare” mi dice subito il dottore, chirurgo di formazione e apprendista ortopedico durante le campagne condotte dal medico francese. Qualche dubbio mi rimane, ma so che Alabo è un uomo serio che ha una passione smisurata per il suo lavoro, cosa per altro molto difficile da trovare in Costa d’Avorio.
Però l’operazione ha un costo e trovare i soldi per queste famiglie non è facile. Io scelgo di contribuire purché ci sia uno sforzo concreto della famiglia. Christ ha sei anni e con una semplice operazione potrà tornare a camminare come gli altri bambini. Alla fine i soldi si trovano e Christ riesce a fare la sua operazione. Segue più di un mese in cui il piccolo Christ è obbligato a stare a letto, con entrambe le gambe ingessate. Al villaggio non ci sono sedie a rotelle ed immagino il disagio della mamma e della famiglia nel gestire Christ che sebbene sia magrolino, deve essere spostato per fare tutto.
Quando viene in città per togliere il gesso ci divertiamo a spostarci sulla piccola Suzuki rossa della missione… lui vuole stare davanti accanto a me e io lo nomino mio assistente alla guida. Ma non basta togliere il gesso per essere guariti! E’ necessario ancora qualche settimana di fisioterapia per rimettersi in piedi e ricominciare a camminare. Così Christ e sua mamma rimangono in città, ospiti di qualche amico, per ultimare la riabilitazione presso il centro di fisioterapia.
Proprio oggi mamma Carola e Christ vengono a salutarmi e a ringraziarmi, la fisioterapia è finita: “Grazie a te Christ può camminare bene, non avrei mai pensato di vederlo con le gambe diritte”. La cosa mi commuove anche perché non sempre chi hai aiutato ti mostra gratitudine e se so di non poter fare miracoli, d’altra parte mi sembra un piccolo grande miracolo che Christ, nato disabile in un villaggio sperduto della Costa d’Avorio, possa ora avere una vita normale. “Ora puoi giocare a calcio?” gli chiedo. Lui sorride, sa che ci vorrà un po’ di tempo ancora. Prendo un pallone dall’armadio e, anche se usato, logoro e da quattro soldi, vedo la soddisfazione nei suoi occhi e glielo regalo: ora può veramente tornare liberamente a giocare. E chissà che la prossima volta che tornerò a Tankouakankro non lo veda davvero con il suo pallone rosso a giocare con i suoi amici: sarebbe uno spettacolo ancora più bello che tornare al comunale per vedere la mia Atalanta.
Sono queste le povertà che incontro quasi quotidianamente. Come la storia di Brice, giovane catechista di un villaggio, che stava venendo con la sua moto a trovarci in parrocchia quando un’altra moto lanciata in velocità l’ha travolto. Quando arrivo in ospedale il suo piede è completamente fuori posto e con una carrozzina deve fare avanti e indietro dalle urgenze alla radiologia per fare gli esami necessarie con tanto di vassoio da portare a mano per raccogliere il sangue che cola dal piedi. Gli sistemano il piede a mente lucida, ma la frattura è scomposta: il dottor Alabo non ha dubbi che sia necessario operarlo. Anche se Brice è scettico lo convinco che un’operazione oggi è necessaria perché lui, ancora giovane, possa tornare a camminare bene. Finalmente è operato e il dottore mi spiega che è andato tutto bene, salvo che il trapano elettrico si è guatato durante l’operazione e quindi ha dovuto completare l’operazione manualmente… Ma la speranza è che anche lui, in qualche mese possa tornare a giocare a calcio, ma soprattutto possa tornare a lavorare con tranquillità il suo campo per guadagnare il necessario per vivere per lui e per la famiglia. E se mi spiace molto per la finale di coppa Italia persa ancora una volta dall’Atalanta, dico però che sono queste sfide quotidiane le partite troppo importanti per essere fallite.
Il mercoledì delle ceneri a Tankouakankro Al centro di fisioterapia con la sua amica Abi si muovono i primi passi Il “nuovo” pallone rosso Non ci resta che giocare