L’ultima carezza

Questa mattina, proprio davanti al cancello d’ingresso alla nostra casa, mentre mi sto recando alla Messa, mi ritrovo davanti un uomo in ginocchio prostrato e piangente, Walter è seduto accanto a lui e mi dice: “Marc è morto”. Rimango senza parole.

Marc è uno dei bambini disabili che stiamo assistendo con Walter in questi mesi. La sua disabilità non era particolarmente evidente come in altri casi. Marc camminava bene, era bello, robusto e forte: un vero e proprio torello. Tuttavia parlava molto male e si stentava a capirlo e la sua forza incontenibile a volte diventava troppo esuberante ed era un problema gestirlo. Insomma Marc era un bambino iperattivo. La sua mamma viene spesso a pregare in Chiesa o alla grotta della vergine Maria e quando perdeva d’occhio suo figlio poteva succedere di tutto. A volte cominciava a seguirci e entrava in canonica cominciando a correre come un folle attorno al tavolo, sotto lo sguardo preoccupato di don Gianni. Avevamo cominciato a seguirlo vedendo le difficoltà di gestione della mamma e con Walter almeno una volta alla settimana veniva a fare delle attività. Esuberante all’inverosimile, era tuttavia incredibilmente affettuoso e ci correva incontro con il suo splendido sorriso e ci abbracciava con affetto. A volte scollarselo diventava un problema, ma sicuramente Marc lasciava sempre il segno. Probabilmente le sue difficoltà erano causate da una forte crisi malarica che aveva provocato anche l’epilessia. Per questo avevamo deciso di avere un consulto psichiatrico e avevamo cominciato a procuragli i farmaci per tenere sotto controllo l’epilessia.

Qualche giorno fa la mamma ci aveva detto che Marc era malato. Walter le aveva risposto di portarlo all’ospedale per fare le analisi gratuite per la malaria e che ai farmaci avremmo provveduto noi. Non sappiamo se per pigrizia, negligenza o qualche strano motivo, ma la mamma non l’ha mai portato all’ospedale. Il papà ha deciso di portarlo quando ormai era troppo tardi. Walter è riuscito a raggiungerli e a pagare le medicine, ma Marc era già incosciente nel suo letto d’ospedale. La mattina seguente arriva la notizia terribile: Marc è morto.

Il papà ci spiega che è venuto per chiederci una preghiera perché i parenti volevano sotterrarlo immediatamente. Mi reco allora nella corte famigliare dove si trova un drappello di parenti ed in un angolo del cortile, per terra e coperto da un lenzuolo, giace il corpo di Marc. Mi faccio forza e comincio a pregare, con il cuore in gola, le lacrime che scendono sulla barba e i singhiozzi che interrompono le mie orazioni: non mi sembra vero che il piccolo esuberante Marc sia morto. Improvviso una sorta d’omelia: “Marc era il più grande teppista del quartiere, era strano, non parlava e combinava disastri, ma dove c’era lui c’era la gioia”. Non riesco a capire cosa gli altri provino in questo momento. La sensazione è che la gente si stupisca che dei bianchi si disturbino per un bambino piccolo nero e scemo: sono le cose strane dei bianchi. Lui è il primogenito e va interrato alla svelta senza troppi fronzoli perché, secondo la tradizione ivoriana, la morte non deve prenderci gusto a visitare la famiglia per prendere membri così giovani. Ma Walter si offre di pagare almeno la cassa per non seppellirlo solo avvolto in un lenzuolo e passa la mattina con il nostro Etienne a sistemare queste faccende. Verso le 10 la cassa è pronta. Walter ha scritto su una croce il nome del piccolo “Marc” e ci rechiamo al cimitero.

Al cimitero non troviamo nessun parente stretto, accanto a noi c’è qualche lontano parente e qualche giovanotto della famiglia che probabilmente è stato incaricato di scavare la fossa. La scena è straziante, la piccola cassa con il corpo de nostro Marc è calata nella fossa. Cerco di fare le preghiere con il massimo della solennità, come si trattasse di un gran personaggio, ma attorno a me sento il clima di chi ha fretta e non vuole perdere troppo tempo con un moccioso. Alla fine del rito, secondo l’usanza ivoriana, faccio aspergere il corpo a Walter e poi ad Etienne. E penso che in fondo tocca a noi essere la famiglia di questo bambino che nessuno vuole e che nessuno sembra voler piangere e mi ritrovo a singhiozzare come un bambino. I giovanotti fanno alla svelta il loro lavoro, riempiono la buca e mettono la croce con il suo nome. Nella desolazione del momento guardo la bella scritta che Walter, in fretta e furia, ma con l’affetto e la cura che lo contraddistinguono, ha scritto: “Marc”. E nella desolazione del momento mi viene un’idea: mi guardo attorno e vedo una pianta di frangipane con i suoi splendidi fiori bianchi, ne strappo un rametto e lo depongo sulla nuda terra della tomba di Marc. Spero che abbia apprezzato quest’ultima carezza, io non scorderò le sue. Caro Marc, quanto mi mancherà il tuo sorriso, spero di rivederlo ogni volta che alzerò lo sguardo verso il cielo ivoriano. Grazie!

Pubblicato da donlucapez

Prete dal della diocesi di Bergamo. Nato a Grosseto nel 1984. Ordinato il 22 maggio 2010. Curato dell'oratorio di Boltiere fino all'agosto del 2018. Dal novembre 2018 missionario fidei donum nella diocesi di Abengorou in Costa d'Avorio

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