Ci sono tramonti ivoriani che ti riempiono il cuore, le nuvole in lontananza si riempiono di colori e il resto del cielo è talmente terso che il firmamento sembra colorato da un artista e i toni caldi del giallo del sole cedono il posto all’azzurro e poi al blu notte dove splende una luna sorniona e anche i tabelloni elettorali, i pali ed i fili della corrente, incasinati come solo in Africa, sembrano ponti e pertiche inseriti nel paesaggio per provare a sfiorarlo questo cielo e a prenderlo e assimilarlo. E sono certo che questo tramonto sia il tuo ultimo e commovente saluto…
Ricordo ancora quella sera del gennaio 2019, da alcuni giorni avevamo in mano una lista di nomi di bambini disabili da visitare donataci da suor Glwadis. Era pomeriggio inoltrato quando entrammo nel cortile della sua famiglia. Dapprima si trova una bella casetta per il capofamiglia con annesso un piccolo cortile, poi un corridoio stretto e basso che apre su un imprevedibile cortile ampio e disastrato: fili tirati con panni stesi dappertutto, porte che si aprono a intervalli irregolari, gradini scoscesi, padelle abbandonate, galline che ruzzolano, donne in procinto di fare la doccia e bambini ovunque. In quel cortile ho conosciuto Jean Baptiste. Era là in braccio alla sua mamma Teya con la testa a ciondoloni e la bocca immancabilmente spalancata. Era bello con un bambolotto e dopo poco chiesi alla mamma: “posso prenderlo in braccio?” e fu amore a prima vista. La mamma aveva uno sguardo triste e sconsolato di chi sta portando un peso più grande di lei senza alcun sostegno, attorno gli sguardi attoniti di fronte a questa invasione di bianchi che visitano un bimbo senza speranza.
Sembra l’altro ieri questo incontro e, d’altra parte, sembra secoli fa… perché dopo questo di incontri ne sono avvenuti a centinaia. Inoltre abbiamo potuto trovare una terapia adeguata per Jean Baptiste per compensare la sua epilessia, lo abbiamo invitato a partecipare agli incontri tra bimbi disabili alla parrocchia dove era sempre presente con il suo sorriso splendido e la mamma ha cominciato a frequentare il cortile della parrocchia per fare delle pulizie prendendosi pure l’oneroso compito di pulire riordinare e riassettare la mia camera ed pure i suoi grandi occhi non sono più così malinconici.
Per Jean non sono mai riuscito a nascondere un amore particolare, la sua presenza mi rassicurava e mi dava allegria. Jean aveva avuto una terribile meningite a quattro mesi della nascita che aveva compromesso molte delle sue funzioni vitali: non camminava, non parlava ed era affetto da un’epilessia gravissima. Eppure regalava dei sorrisi splendidi a tutti. Quando ero scoraggiato per un qualsiasi motivo solo il vederlo mi rincuorava, nel mio cuore turbinavano mille inquietudini e insicurezze a cui lui rispondeva con il suo sorriso dolce e nel migliore dei casi con il suo: “oooh” e tutti i cattivi pensieri si scioglievano a tanta dolcezza. A volte, in mancanza di interlocutori attrezzati, gli riferivo tutti i risultati dell’Atalanta e gli cantavo i cori della curva per tranquillizzarlo quando piangeva…e lui mi fissava spesato. Il giorno dell’anniversario della mia ordinazione mi ha fatto uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto.
Qualche settimana fa l’avevo accompagnato a Bonoua da un medico ortopedico che doveva costruire dei tutori per lui: una scoliosi evidente ci faceva preoccupare e abbiamo pensato che avrebbe potuto prendere una postura migliore. Il medico aveva imposto dei carichi di lavoro eccessivi a questo bimbo che è tornato ad Agnibilekrou piagato dappertutto e debilitato fortemente. Dopo esami, antibiotici e medicazioni sembrava sulla via della guarigione quando domenica ha avuto una forte ricaduta dovuta ad un attacco di malaria. Lunedì vado a salutarlo, il suo colorito non è bello e la respirazione è affannosa, ma non so proprio cosa si possa fare di diverso, cosa fare di più. La mamma mi chiede di battezzarlo, ma io tentenno, lei è di una Chiesa protestante e non voglio che prenda una decisione solo per farmi un piacere. Lo prendo in braccio, e non potevo immaginare che fosse per l’ultima volta, e lo carezzo dappertutto con la sua pelle liscia come la seta mentre parlo con mamma Teya e offro Emilio, il mio amico in visita dall’Italia, in moglie alla figlia più grande. Ce la ridiamo, ma sappiamo che la situazione è grave.
La sera Walter porta Jean Baptiste all’ospedale, il respiro è sempre più affannoso. Quando passo a trovarlo mamma Teya ha lo sguardo basso e triste, il suo sesto senso di mamma ha già capito, ma ci si attacca alle ultime speranze e mentre una lacrima discreta e furtiva segna le sue guance, io mi tolgo la mia croce, quella che ho ricevuto al mandato missionario dal vescovo, e la metto al collo del mio piccolo amico e lo benedico. Sono contento che la mia croce lo abbia accompagnato nelle ultime ore di agonia.
La mattina con Walter e Claudia ci rechiamo all’ospedale sperando che, ancora una volta, come già successo in passato, Jean Baptiste abbia potuto reagire anche alle situazioni più dure. Arriviamo e la porta delle urgenze dove è ricoverato è sbarrata a causa del giro di consultazione dei dottori, ma dalla finestra sento le urla strazianti di Teya, Jean Baptiste è morto! Non riesco a crederci… la porta è sbarrata, ma non so ancora come la ritrovo aperta e arrivo nella stanza dove il corpo di Jean è steso, ancora caldo, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. L’infermiere arriva a confermare il decesso. Riempio Jean Baptiste di baci per un’ultima volta mentre le mie lacrime bagnano il suo corpo esanime, poi vedo la mia amica Teya con le mani nei capelli presa dai singhiozzi, vorrei consolarla, ma come consolare una mamma che ha perso il figlio a cui ha dedicato gli ultimi cinque anni della sua esistenza?
Mentre mamma Teya si dispera mi prendo carico di alcune procedure, avvertire la famiglia, prendere contatto con i medici e sbrigare le procedure del certificato di morte. Il corpo è portato all’obitorio e solo con le dovute pratiche sarà rilasciato. Mentre le donne della famiglia “sequestrano” Teya, gli uomini rimangono a contrattare con me. Come da tradizione vogliono che il corpo sia seppellito senza fronzoli il prima possibile. Io ci terrei che in Chiesa si facesse una preghiera, è vero che Jean Baptiste non era stato battezzato, ma è vero che la mamma avrebbe voluto. Alla fine siamo d’accordo per celebrare un piccolo funerale alle tre del pomeriggio, prima di portarlo al cimitero.
Contro ogni aspettativa e contro la tradizione Teya partecipa al funerale…Jean Baptiste come l’omonimo profeta non era uomo di molte parole, ma la sua presenza interpellava e ti metteva alla presenza misteriosa di Dio. Il secondo nome di Jean, che neppure io conoscevo fino a pochi giorni fa, era Archange “Arcangelo”, ora questo profeta muto che con la sua dolcezza ha segnato la vita di tanti invitando a preparare la strada del Signore è diventato il più bello degli angeli.
Grazie Jean Baptiste Archange per tutta la delicatezza che mi hai donato in questa terra a tratti tanto ruvida e spinosa. Ora sono certo che sei nella gioia perfetta e che corri come tutti i bambini di questo mondo dovrebbero e che canti e salti e fai dispetti agli angioletti e chissà che tu non continuerai a seguire i risultati dell’Atalanta e a cantare con me i cori da stadio. Mi mancherai tanto piccolino! Proteggi la tua mamma che ti ha amato tanto!











