…e tutti quanti…

Mi era già capitato di entrare nel cortile di Koffi: quando ho chiesto di battezzarlo, quando volevo capire qualcosa di più su questo eterno ragazzo che passa le ore nel cortile della Chiesa. Koffi, che al battesimo ha preso il nome di Maurice, il patrono della nostra parrocchia, è un ragazzo disabile. Chi ha già letto i racconti di questo blog lo conosce e lo immagina con la sua scodella piena di cibo offerto da qualcuno, il suo sorriso sguaiato, la sua andatura ciondolante, le braccia che si agitano per salutarti e la bocca che si spalanca per emettere suoni incomprensibili e… il suo tanfo terribile.

A quello che ho capito solo sua nonna si occupava un po’ di lui e alla morte di quest’ultima è rimasto nel cortile della sua famiglia solo, gli appartamenti che danno sul cortile sono stati affittati e a lui è restata una sola stanzetta. Mi era già capitato di entrare nel cortile di Koffi, ma mai ero entrato nella sua stanza. Quest’oggi lo sorprendo sdraiato nella sua stanzetta, mi vede e salta in piedi, è contento di vedermi e fa ampi cenni come per invitarmi entrare. Non sono solo, con me c’è mamma Tehia, la mamma di Jean Baptiste, che da alcuni mesi si prende cura di lui aiutandoci a lavarlo.

Lui è contento di potersi lavare, ma non sempre ama l’acqua fresca che utilizziamo e comincia ad agitarsi. Purtroppo lui non è indipendente su molte cose: non è stato abituato a lavarsi da solo, non è autonomo nei suoi bisogni fisiologici e quindi lavarlo vuol dire scontrarsi contro il ribrezzo che escrementi e fetori causano, ma armati di guanti e mascherina io e don Marco l’abbiamo lavato molte volte e con noi qualche volontario che ha preso a cuore questo ragazzo. Spesso siamo guardati con un misto di curiosità e ribrezzo, però tutto sommato è divertente… lui si dimena un po’ e urla e io lo prendo in giro in italiano, tanto lui non capisce. E poi credo che un’infanzia passata a poche centinaia di metri dai mangimi Moretti di Campagnola mi abbiano assuefatto ai cattivi odori.

Oggi la nostra missione è quella di sistemare un po’ la sua casa… è lui stesso che ci accoglie pieno di gioia e ci mostra la sua stanza o meglio il suo sgabuzzino, un metro di larghezza, per due metri e trenta di profondità. La sua casa: 2,3 metri quadrati di angoscia, non una finestra, non una lampadina, non una porta, muri scrostati, il contatore dell’acqua sulla soglia dell’uscio da evitare per poter entrare… solo una stuoia in plastica dove sedere un secchio con qualche cianfrusaglia e una collezione di maglie che probabilmente gli sono state donate nel tempo. Tornato a casa misuro il tavolone della sala della missione, dove mangiamo e dove accogliamo gli ospiti: è più largo ed è più lungo della casa di Koffi!

Nello sgabuzzino l’aria è irrespirabile per il tanfo e la puzza di escrementi che emana la stuoia. Tehia prende un paio di guanti e comincia a lavorare, quando torno trovo Koffi intento di trasportare le cianfrusaglie che gli indica Tehia alla discarica e la stanza è finalmente pulita. Compriamo una nuova stuoia e prendiamo le magliette che Maurice ha accumulato, le laveremo per utilizzarle, glielo spieghiamo e lui annuisce perché capisce tutto, ma la sua lingua è fatta di gesti e di versi. Da quel giorno, ogni giorno, mi porta una maglietta rimediata non so bene dove. I suoi vicini di casa ci guardano con simpatia, non sembrano troppo disturbati dalla nostra intrusione, ma mi chiedo se quello che facciamo smuova in loro certi interrogativi, se li stimoli ad aiutare questo vicino strano oppure niente può smuovere un’indifferenza nutrita anche da pregiudizi e paure ataviche nei confronti delle persone disabili. Mi riprometto che cercherò di sistemare un po’ lo sgabuzzino di Maurice perché assomigli un po’ di più ad una casa.

Ogni domenica sera in parrocchia viviamo un’ora di adorazione eucaristica, un momento di tranquillità ed intimità con il Signore, animato ogni settimana da un gruppo parrocchiale che propone, vespri, rosario, canti, riflessioni e silenzio. Questa domenica una bimba mi guarda e mi scruta seduta al banco accanto a sua mamma. La conosco, è la più piccola delle quattro sorelle Bidio, la sua sorella maggiore è Stephanie, una ragazza tutto pepe che quest’anno ha ottenuto il suo diploma ed è andata a Bouaké, una grande città ivoriana, per frequentare l’università. Ma anche la piccolina di un anno e mezzo, che si chiama Elvira, sembra avere un carattere esuberante, si avvicina pian piano lasciando la mamma, mi guarda con circospezione e poi mi fa capire che vuole salire sulle mie ginocchia. Una volta in braccio dopo poco si lascia completamente andare, la testa abbandonata sulla mia pancia e il braccio che mi cinge la schiena con delicatezza. E mentre ho in braccio questa meraviglia, adoro il mio Signore e vorrei anche io essere con lui come Elvira con me, abbandonarmi alle sue braccia di Padre, sicuro che mi guida e mi è accanto anche in questa caotica Africa e che mi prende in braccio e con me Elvira, Koffi…e tutti quanti…

Pubblicato da donlucapez

Prete dal della diocesi di Bergamo. Nato a Grosseto nel 1984. Ordinato il 22 maggio 2010. Curato dell'oratorio di Boltiere fino all'agosto del 2018. Dal novembre 2018 missionario fidei donum nella diocesi di Abengorou in Costa d'Avorio

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